ARCHIVIO RASSEGNE
23 Maggio 2019

Riceve l’eredità dopo 71 anni grazie al Dna

“È sereno e tranquillo ora che, finalmente, questa vicenda si è chiusa”.
Così commenta al telefono la moglie del signor Angelo L., 84 anni, un’intera vita passata a combattere per vedere (prima) affermato il suo essere figlio di quel padre morto nel lontano 1948 senza averlo mai riconosciuto; e (ora) veder riconosciuto il diritto alla sua eredità. Che naturalmente nel frattempo ha preso strade diverse arrivando a nipoti e pronipoti, con immobili ormai venduti. A dare ragione al signor Angelo è stata la Corte di Cassazione che – annullando la sentenza di Appello che aveva dato torto alle rivendicazioni patrimoniali dell’uomo – ha ora ordinato che il processo civile venga rifatto, ma con paletti stringenti a suo favore.
Una storia d’altri tempi e, invece - nel 2012 – anche attraverso la riesumazione dei resti del genitore per poter effettuare il test del Dna che ha confermato quello che la madre del signor Angelo (morta nel 1993) raccontava da sempre: che il figlio era stato il frutto della relazione che aveva avuto con l’imprenditore per il quale lavorava come segretaria.
“Per anni le cause fatte dalla signora per veder riconosciuta la paternità sono tutte finite in un diniego di giustizia, secondo i metri di allora”, racconta l’avvocato Enrico Cornelio, “è stato il figlio, in età avanzata, a voler affermare la verità delle cose, chiedendo il test del Dna e ottenendo nel 2012  l’accertamento della sua identità”. Quella sentenza gli ha consentito di agire per chiedere l’annullamento del testamento olografo del padre, spedizioniere della Giudecca, che non essendosi mai sposato lasciò tutto alla sorella, ben sapendo di avere un figlio. Morta la signora nel 1964, i beni passarono al nipote e, nel 1981, ai suoi 4 figli”.
Uno storia davvero d’atri tempi, della quale si trovano ora a pagare gli incolpevoli eredi della donna: c’è chi nella casa ereditaria ha l’abitazione e chi ha venduto la propria quota.
In primo grado, il Tribunale di Venezia accolse il ricorso del signor Angelo, annullando il testamento e assegnandogli i beni. Ma gli attuali proprietari ricorsero in Appello, sostenendo che se l’avo – dopo l’enorme contenzioso già avuto con la madre – sapeva benissimo di avere un figlio, non averlo menzionato nel testamento era una sua precisa volontà. È la Corte diede loro ragione.
Non così, nei giorni scorsi la Cassazione. “I giudici supremi”, spiega ancora l’avvocato Cornelio, addentrandosi in un mondo senza tempo, “hanno adottato un criterio rigoroso: un uomo “sa” di avere un figlio solo dopo l’accertamento tramite il Dna. Solo dopo lo si può escludere esplicitamente dal testamento. Cosa che il padre del mio cliente non fece. A questo punto, l’unico erede è i lusingo Angelo che ha diritto a tutto il patrimonio residuo. Si tratta di monetizzare il corrispettivo dell’eredità di allora. Situazione bizzarra”.
Per la Cassazione, infatti, l’articolo 687 vale solo a fronte della “vittoriosa azione di accertamento della filiazione”, ovvero della prova del Dna, arrivata 64 anni dopo la morte dell’uomo: nulla conta che “quest’ultimo, quando era in vita, non abbia voluto riconoscere il figlio, pur essendo a conoscenza della sua esistenza”.
Sentenza da rifare, ma con paletti stretti, che la strada appare segnata”. E a 84 anni il signor Angelo L. può dirsi finalmente “sereno”.