IL GAZZETTINO
Un risarcimento di oltre 650 mila euro ai familiari di un operaio di Marghera che, per molti anni, fu esposto alle polveri d’amianto lavorando prima come operaio terzista in appalto in manodopera per la società Isolfin di Ravenna, presso Montedison Spa, e successivamente come dipendente della Montedison stessa.
Lo ha liquidato la Corte d’appello civile di Venezia, presidente Guido Marzella, condannando le società Isolfin ed Edison a versare l’ingente somma, a titolo di ristoro per il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale.
A rivolgersi alla Corte d’appello è stato l’avvocato Enrico Cornelio di Mestre, impugnando la sentenza con cui il tribunale civile di Venezia aveva respinto la richiesta di risarcimento.
POLVERI DI AMIANTO
Nel corso dell’attività lavorativa, proseguita dal 1970 al 2009, l’operaio era stato esposto ad inalazione di polvere di amianto, per poi ammalarsi di mesotelioma pleurico, un tumore al polmone che non lascia scampo, e che lo portò alla morte nell’ottobre del 2016.
La vedova chiese e ottenne la rendita all’Inail in qualità di superstite. E, quindi, decide di avviare una causa civile per ottenere il risarcimento del danno patito a seguito del decesso del proprio caro. In primo grado il tribunale non aveva ammesso le prove per testi per poi rigettare integralmente la domanda, ritenendo non adeguatamente provato il rapporto affettivo intercorso tra i familiari.
La sentenza è stata impugnata e, nei giorni scorsi, la Corte d’appello ha ribaltato la decisione. I giudici di secondo grado hanno innanzitutto dato per provato il nesso di causa tra la morte dell’operaio e la lunga esposizione all’amianto per motivi di lavoro e affermando la responsabilità in capo alle due società chiamate in causa.
Quindi, richiamando consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, ha ritenuto che “il legame afferrivo derivante da rapporto parentale è elemento presuntivo sufficiente a fondare la richiesta risarcitoria”. E che, nel caso di morte di un prossimo congiunto (coniuge, genitore, figlio, fratello) “l’esistenza stessa del legame di parentela faccia presumere la sofferenza del familiare superstite, giacché tale conseguenza è, per comune esperienza, connaturale all’essere umano”, salvo dimostrare e provare circostanze diverse.
Di conseguenza, la morte improvvisa dell’operaio, quasi concomitante alal diagnosi della malattia, ha cagionato ai parenti stretti della vittima “una sofferenza e un vuoto di notevole entità, che con il tempo può attenuarsi, ma mai placarsi”, scrivono i giudici.
Contro la sentenza potrà essere ancora proposto ricorso per Cassazione.