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07 Dicembre 2021

Corriere del Veneto Risarcita la moglie di un morto d’amianto. “Malata per le polveri respirate dai vestiti”. Il legale da ricorso: 43 mila euro, cifra irrisoria.

Un precedente importante apre ad una stagione di possibili risarcimenti per tutti quei familiari di vittime di amianto rimasti a loro volta invischiati nella trappola velenosa dell’eternit. Un primo passo, ma troppo timido, tanto che nonostante la vittoria registrata in tribunale la vittima ha deciso comunque di fare ricorso in appello per ottenere una cifra più consistente e, quindi, almeno in parte più proporzionata all’enorme danno subito. La vicenda ha visto lo studio legale Cornelio al fianco della vedova di un portuale veneziano a chiamata, esposto per anni alle polveri di amianto e morto per adenocarcinoma sette anni fa; recentemente, anche la signora ha sviluppato lo stessa forma tumorale polmonare del marito scomparso, e se questo era stato per anni un accanito fumatore - 12 sigarette al giorno per vent’anni, si specifica nella sentenza – lei invece dal 1983, quando lui ha smesso, non era stata più esposta neppure al fumo passivo. La causa del male andava ricercata altrove, ed è stata trovata nei vestiti del marito, che per anni sono stati raccolti e lavati sempre dalla donna, che così ha finito per respirare costantemente le stesse polveri dell’uomo depositate su tute, maglie e pantaloni.
Nelle carte del tribunale si specifica addirittura come la moglie del portuale fosse abituata a lavare i vestiti sempre nello stesso modo, ovvero prima “sbattendoli a mano o con un battipanni, poi mettendoli a bagno in una vasca e poi in lavatrice”, insomma andando a toccare e strofinare i tessuti, facendo tutto il possibile per sollevare polveri e corpuscoli e quindi, inevitabilmente, respirandoli. Tutte pratiche che, essendo a conoscenza della pericolosità delle sostanze con cui entrava in contatto il marito ogni giorno, non avrebbe certo portato avanti. La distinzione sulle possibili concause del tumore – il fumo, in particolare – è fondamentale proprio per usare il caso come modello per future richieste di risarcimento, visto che per fumatori incalliti sarebbe complicato accertare la colpa in capo all’eternit, se non per forme specifiche come le neoplasie o le asbestosi, tipicamente collegate all’esposizione all’amianto.
In questa occasione il tribunale ha condannato l’Autorità di sistema portuale (in quanto formale datore di lavoro del marito scaricatore) a risarcire la donna con 43.335 euro, a cui si aggiungono 588 euro di spese di lite e quasi quattromila euro di competenze professionali. Una cifra giustificata dal fatto che la donna sia stata nel frattempo operata con successo dall’adenocarcinoma (un’operazione che comunque ha avuto come conseguenza inevitabile un periodo di convalescenza di oltre un mese e un’invalidità permanente del 15 per cento), ma comunque giudicata troppo bassa dalla vittima e dallo stesso avvocato Enrico Cornelio, che ha già annunciato l’intenzione di ricorrere in appello per ottenere un risarcimento più consistente.