ARCHIVIO RASSEGNE
10 Febbraio 2023

Da piccola abbracciava il papà per questo è morta di amianto; Maxi risarcimento ai familiari di una malata: per anni respirò le fibre dai vestiti del padre

CORRIERE DEL VENETO
VENEZIA Non ha mai lavorato a contatto con l’amianto, non era addetta alle verniciature in una fabbrica, non ripuliva gli scarichi degli impianti di Porto Marghera, per quasi tutta la vita ha fatto la casalinga, eppure a 58 anni è stata stroncata da un mesotelioma pleurico tanto aggressivo quanto letale.
Per contrarre la malattia ai polmoni costantemente associata all’«eternit» è bastato che da bambina abbracciasse il padre quando tornava dal lavoro e poi, cresciuta, aiutasse la madre e la sorella a fare il bucato, andando quindi a lavare anche le tute da operaio coperte di fibre tossiche. A sei anni dalla tragica scomparsa della donna, riformando una sentenza contraria in primo grado, la quarta sezione civile della corte d’Appello di Venezia ha riconosciuto il nesso di causa ed effetto tra l’impiego del genitore e la morte della donna, condannando l’azienda in cui lavorava il genitore a risarcire i parenti per quasi 700 mila euro.
I giudici hanno infatti concordato con la tesi degli avvocati della famiglia, i legali Enrico e Livia Cornelio, riconoscendo nell’esposizione all’amianto l’unica possibile ragione per la malattia e nel contatto quotidiano con il padre l’unica forma di contaminazione mai avuta dalla donna. A fare causa alla Edilit srl di Vigodarzere (Padova), in prima battuta, era stata direttamente la 58enne: era il 6 marzo 2017 quando la donna raccontava la sua storia in tribunale, spiegando di aver vissuto per 21 anni a casa dei genitori a Castello, nel centro storico veneziano, da quando è nata nel 1959 fino al 1980, quando è andata a convivere con suo marito; ha spiegato di non aver mai lavorato, se non tra il ‘79 e l’80, in una valigeria e di non aver mai quindi avuto modo di trovarsi continuativamente esposta a polvere di eternit, se non appunto per effetto del lavoro del padre. L’uomo per 15 anni ha lavorato come operaio nella «Prodotti Cemento Amianto spa» del Veneziano, poi divenuta appunto Edilit srl, e tutte le sere rientrando a casa aveva ancora addosso i suoi indumenti di fatica «estremamente impolverati».
Da piccolina, per lei era normale «il contatto che, alla stregua di ogni altro bambino, avrebbe avuto al rientro del padre»: corrergli incontro ed abbracciarlo. Ma non solo, presto sia lei che la sorella hanno iniziato ad aiutare la madre nelle faccende di casa e, tra queste, c’era anche la pulizia della tuta del papà: andava battuta con il battipanni e poi messa a lavare, un’operazione «in cui le tre donne si alternavano». La bambina, insomma, divenuta ragazzina non si limitava ad assistere la madre ma spesso la sostituiva completamente, un punto questo rimasto poco chiaro durante le udienze per il primo grado, tanto che all’epoca il tribunale aveva rifiutato la richiesta di risarcimento perché riteneva mancassero le prove della correlazione.
Il 4 aprile 2017, neanche un mese dopo aver presentato il suo caso in aula, la donna è stata sconfitta dal mesiotelioma, ma a portare avanti la sua battaglia legale ci hanno pensato la sorella e il marito, sempre assistiti dagli avvocati Cornelio. Impugnata la sentenza davanti alla corte d’Appello, non solo è stato specificato il ruolo che la ragazza svolgeva in casa ma è anche stato di fatto invertito il principio della prova, ribadendo che il mesiotelioma pleurico «è causato in via esclusiva dalle inalazioni delle polveri di amianto» e che di conseguenza non ci può essere altro responsabile se non la tuta con il logo Prodotti Cemento Amianto. Marito, sorella e figli della 58enne veneziana sono stati quindi risarciti dalla Edilit Srl con 242.280, 191.805, 191.805 e 58.448 euro, a cui si aggiungono altri 98 mila euro di quote ereditarie e oltre 25 mila euro di spese legali, sempre a carico della ditta.