Un dipendente morì di tumore, gli eredi ora saranno risarciti con 200 mila euro
Per molti anni gli addetti hanno scaricato senza protezione la sostanza cancerogena
IL CASO
Marghera. Per anni i lavoratori portuali hanno operato a contatto con le fibre d’amianto senza alcuna protezione, dormendo sui sacchi piene di asbesto, proveniente da Urss, Sudafrica, Mozambico, e respirando notevoli quantità di polveri provocate dalla frequente rottura dei sacchi (di juta o plastica) durante le operazioni di scarico delle navi, svolte per molto tempo manualmente.
L’incredibile situazione, proseguita fino al 1990, è stata ricostruita da decine di testimoni ascoltati nel corso della causa promossa da un operaio, ammalatosi nel 2016, dopo aver lavorato per 30 anni al Porto, e deceduto nel 2018, un anno prima della sentenza con cui, pochi giorni fa, il giudice della sezione lavoro, Chiara Coppetta Calzavara, ha condannato l’Autorità portuale a risarcire gli eredi, versando loro circa 200 mila euro, in relazione al danno patito dal loro caro.
Moglie e figli potranno ora avviare un’autonoma causa per ottenere il risarcimento dei danni sofferti personalmente per la malattia e la morte del familiare. La causa è stata patrocinata dall’avvocato Enrico Cornelio.
56 CASI IN 30 ANNI
Davanti al Tribunale sono stati presentati anche i risultati di una ricerca dalla quale emerge che dal 1980 al 2007 sono stati accertati ben 56 casi di neoplasie correlate all’amianto, 47 delle quali tra gli operai della Compagnia lavoratori portuali (Clp); i rimanenti tra ex dipendenti dell’Autorità portuale. I tumori correlati all’amianto si sviluppano con un lungo periodo di latenza, e dunque si possono manifestare anche di distanza di 30 anni dall’ultima esposizione con le fibre cancerogene.
Nella causa decisa nei giorni scorsi, è emerso che l’operaio ammalato aveva fumato sigarette per molti anni, ma il Tribunale, sulla base di una consulenza medica, ha ritenuto che l’adenocarcinoma che ne ha provocato la morte, dopo una lunga sofferenza, sia sicuramente conseguente all’esposizione prolungata all’amianto.
I FAMILIARI POTRANNO ANCHE AVVIARE UNA CAUSA PER I DANNI PATITI PERSONALMENTE PER LA TRAGEDIA
NESSUNA PRECAUZIONE
Nella sentenza viene ricordato che fin dal 1943 vi era in vigore una legge che imponeva una serie di precauzioni e che alla fine degli anni Sessanta arrivarono i primi studi che stabilirono una correlazione scientifica tra esposizione all’amianto e una serie di tumore. Ciò nonostante al Porto di Venezia non furono prese precauzioni per proteggere i lavoratori, e l’Autorità portuale è chiamata a risponderne, in quanto gli operai, all’epoca aderenti alla Clp, hanno svolto attività per conto dell’allora Provveditorato al porto, a cui sono succeduti l’Autorità portuale prima e l’Autorità di sistema portuale poi.
Gianluca Amadori.