La decisione del giudice non può restituire a noi nostro padre e a mia madre suo marito: ma ha reso dignità alla sua ingiusta scomparsa. Tra l’altro ci ha molto amareggiato che dalla struttura non ci sia stata una richiesta di scuse: anzi, hanno cercato di occultare le loro responsabilità, raccontando menzogne”. Parla così il figlio di un operaio in pensione che il 4 febbraio 2020 morì all’Ospedale Civile di Venezia per le complicazioni di una broncopolmonite interstiziale, contratta quando era ricoverato alla casa di riposo Fatebenefratelli. Una malattia che i sanitari della struttura che si trova alla Madonna dell’Orto non riscontrarono in maniera negligente, così come affermato anche dalla perizia disposta dal giudice civile lagunare Silvia Franzoso, che nei giorni scorsi ha emesso la sua decisione e condannato l’Istituto San Raffaele Arcangelo a risarcire con oltre un milione di euro i suoi famigliari, tutelati dall’avvocato Enrico Cornelio.
L’uomo, che all’epoca aveva 72 anni, era stato ricoverato il 13 gennaio precedente e dopo un po' di giorni aveva iniziato ad avere la febbre alta, oltre i 39 gradi. Inizialmente era stata trattata con il paracetamolo, poi solo il 25 gennaio con una terapia antibiotica. Secondo quanto riportato dai periti, nei giorni successivi già l’uomo aveva avuto dei sintomi che avrebbero potuto condurre i sanitari a riconoscere l’infezione in corso (e invece nelle ultime ore fu mandato al Civile con una diagnosi di “insufficienza respiratoria di natura da determinarsi”): dalla tosse con sangue a una saturazione molto bassa, che era scesa attorno all’80 per cento. Sintomi peraltro che, sebbene la pandemia fosse vicina a partire, non erano legati al Covid, ma a una broncopolmonite normale. “Il paziente non fu adeguatamente studiato sotto il profilo clinico con opportuni approfondimenti strumentali, anche una semplice radiografia del torace sarebbe bastata – avevano scritto i periti del giudice – né sufficientemente trattato sotto il profilo terapeutico”. Questo aveva portato a una embolia polmonare. “Il decesso sarebbe stato evitato con un diverso iter tempestivo e corretto”, concludono i medici legali, per i quali in questo caso avrebbe avuto oltre il 50 per cento di probabilità di sopravvivere.
La difesa aveva sostenuto che non ci fosse modo di fare quella diagnosi, non essendo un ospedale da un luogo di lungodegenza. “In realtà prima ci hanno detto che non avevano fatto la radiografia perché stava male, poi perché invece stava bene”, ribadisce il figlio. Il giudice ha stabilito un risarcimento di 411 mila euro per la vedova, 225 mila euro per ciascuno figlio, 127 mila per la nipotina e 78 mila per altre voci di danno.