Il Comune dovrà risarcire con oltre mezzo milione di euro gli eredi di una donna di sessant’anni morta nel 2009 per epatocarcinoma a seguito di alcune trasfusioni nel reparto di ginecologia fatte addirittura nel 1972 all’ospedale Civile di Venezia, dopo alcune complicazioni legate al parto. Anzi, in quelli che all’epoca si chiamavano Ospedali Civili Riuniti.
Una lunga vicenda giudiziaria, ritornata davanti ai giudici della corte d’appello su indicazione della Cassazione e conclusasi lo scorso novembre. E che vede come protagonista proprio il Comune, e non l’azienda sanitaria, perché i fatti sono così risalenti nel tempo da non chiamare in causa la stessa azienda sanitaria che in effetti, in base alla riforma del 1978, non deve rispondere per i debiti precedenti quella data.
Questo filone della vicenda giudiziaria, come detto, nasce in seguito alla morte della signora E.V. nel 2009 a causa di un’epatite che in seguito le aveva provocato una cirrosi epatica e un epatocarcinoma.
A citare in giudizio il Comune di Venezia erano stati gli eredi della donna, difesi dall’avvocato Enrico Cornelio. Secondo gli eredi, la scoperta dell’epatite cronica risaliva al 1975 mentre la vera e propria diagnosi era stata effettuata solo nel 2000, con conseguente diagnosi di cirrosi epatica nel 2004. Dopo le contestazioni da parte del Comune, il giudice di primo grado aveva disposto una consulenza tecnica d’ufficio che in effetti ha riconosciuto il nesso causale tra le trasfusioni nel 1972 e l’epatite C poi riscontrata. Il primo grado si era così concluso con una sentenza del 2015 con cui il tribunale di Venezia aveva confermato la legittimità della citazione in giudizio del Comune, la prescrizione decennale dei danni subiti dalla vittima e la condanna del Comune al risarcimento dei danni morali sofferti dagli eredi. Contro questa sentenza, però, il Comune aveva deciso di proporre appello. La quale corte, però, aveva deciso di rigettare l’appello principale riconoscendo una ulteriore somma agli eredi della donna scomparsa.
La vicenda giudiziaria, però, era ben lontana dall’essere conclusa. Al contrario, la querelle si è giocata sul riconoscimento o meno di due tipi diversi di risarcimento per gli eredi. Per semplificare, i danni risarcibili agli eredi possono essere domandati “iure proprio” e “iure hereditatis”: la differenza sta nel fatto che nel primo caso viene risarcito il danno morale patito dagli eredi per la perdita del proprio congiunto, nel secondo caso il danno per quello subito dalla vittima che, a seguito della morte, si trasferisce agli eredi. È così che la Cassazione accoglie nuovamente il ricorso sulla mancata prescrizione del diritto al risarcimento per gli eredi e rinvia il tutto in corte d’appello, dove, finalmente, a distanza di cinquant’anni dall’inizio, la vicenda si conclude con una condanna a carico del Comune a risarcire nel complesso 559 mila euro a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali da suddividere tra gli eredi.
Si legge infatti nella sentenza: “Nel quantificare l’importo risarcitorio ritenuto idoneo a soddisfare integralmente il danneggiato del pregiudizio subito, va infatti considerato l’intero danno subito anche a causa del decorso del tempo rispetto al verificarsi dell’evento morte”.