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17 Marzo 2022

Tetraplegica per il parto, alla famiglia vanno 3,2 milioni

La Nuova Venezia

Il 3 maggio 2014 la gioia più grande per una famiglia si è trasformata nella tragedia di una vita: la nascita della piccola Bianca (la chiameremo così) è diventata un dramma senza fine perché al momento del travaglio e del parto ha subito una tale mancanza di ossigeno da farne una bambina tetraplegica e spastica a vita. Bianca oggi ha 8 anni e che non può fare nulla di quel che fa normalmente una bimba: va accudita ogni ora del giorno e della notte e sostenuta in tutto.
Nei giorni scorsi la Corte d’Appello ha confermato la responsabilità dei medici di turno quel giorno all’ospedale di Chioggia nel non essersi accorti della sofferenza fetale in atto durante il travaglio e nel non essere intervenuti d’urgenza con un parto cesareo. E se in primo grado il Tribunale ha riconosciuto alla bimba, ai suoi genitori, ai nonni 1,9 milioni di risarcimento per tutto l’aiuto – l’amore va da sé – del quale Bianca avrà bisogno in tutta la vita, la Corte ha condannato l’Ulss 3 Serenissima a risarcire alla famiglia altri 1,3 milioni accogliendo il ricorso dell’avvocato Enrico Cornelio.
Consulenza medico legali alla mano svolte durante il primo processo, i giudici d’appello hanno ribadito “la sussistenza di una condotta negligente da parte del personale sanitario dell’U.O. Ostetricia Ginecologia dell’Ospedale di Chioggia e il nesso di causalità tra l’inadeguato operato dei sanitari e il quadro di encefalopatia ipossicoischemica da cui risulta affetta la bimba”. All’origine del tutto ci sarebbe stata una mancata lettura del monitoraggio in tempo reale: invece di un cesareo d’urgenza, alla donna venne somministrata ossitocina per accelerarne il parto naturale. Con conseguenze drammatiche.
Oltre al danno liquidato in primo grado alla famiglia, i giudici d’appello hanno riconosciuto che l’Uls debba farsi carico anche del fatto che la bimba non potrà mai diventare una donna adulta con un lavoro proprio e che, anzi, i suoi genitori dovranno occuparsi di lei “ben oltre il normale mantenimento dei figli: hanno dovuto e dovranno prestare una assistenza costante e continua alla bambina per nutrirla, pulirla, trasportarla, evitare che possa procurarsi lesioni, controllare le sue condizioni, somministrarle le terapie”. Un lavoro di assistenza che – per l’Appello – va retribuito anche ai nonni.
Un risarcimento merita anche “la profonda sofferenza che scaturisce dalla consapevolezza che la propria figlia e nipote resterà per sempre menomata nel fisico e nella psiche e non avrà mai una vita normale”. Da qui, i 1,3 milioni che si aggiungono ai 1,9 del primo grado. Nel corso del giudizio, l’Uls 3 si era difesa negando alcun nesso causale tra la condotta medico sanitaria e i danni alla neonata “credo si debba garantire a questi bambini non solo assistenza, ma di poter comprare una casa così grande per ospitarvi in maniera confortevole fratelli e o parenti che potranno occuparsi di lei per tutta la sua vita: perché potrebbe sopravvivere ai suoi genitori e non può restare sola”, commenta l’avvocato Cornelio, “per questo, so suggerito alla famiglia di ricorrere anche in Cassazione”.